Nato nel 1856 da una famiglia di commercianti di granaglie di Lugo di Romagna, impara i primi elementi del disegno presso il collegio Trisi nella stessa città. Una borsa di studio gli consente, a ventun’anni, di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove studia con Antonio Puccinelli: tra i compagni Mario De Maria, Alessandro Scorzoni, Augusto Sezanne, Tullio Golfarelli e Rocco Lentini. Prima del suo trasferimento a Bologna, in un impeto di ribellione giovanile, cambia il suo cognome da Pratelli in Pratella. Nei due anni trascorsi a Bologna fa amicizia con lo stesso Lentini e con il poeta Giovanni Pascoli, per cui illustrerà parte del libro Myricae. E’ breve ma importante il soggiorno a Venezia con Pietro Fragiacomo nel 1879, quando frequenta lo studio di Giacomo Favretto. Manterrà in seguito un rapporto con la città lagunare e con alcuni artisti veneziani. Nel 1880 si reca a Napoli, agevolato da una nuova borsa di studio e attirato dalla fama dei maestri della scuola napoletana. All’Istituto di Belle Arti per qualche mese segue i corsi diretti da Domenico Morelli e Filippo Palizzi, che poi è costretto ad abbandonare per cercare lavoro. Decora porcellane nello stile Capodimonte per l’antiquario Varelli, coperchi di scatole con paesaggi napoletani per una famosa pasticceria di Napoli e ceramiche per la fabbrica Cacciapuoti. Nonostante le difficoltà economiche sceglie comunque di stabilirsi in Campania e di fare di Napoli, ricca di fermenti culturali e artistici, la sua città d’adozione. Proprio nel 1881 comincia la sua attività espositiva: dal 1881 al 1934 presenta le sue opere con regolarità a molte delle esposizioni artistiche sia in Italia, sia all’estero. Le opere di questo periodo, caratterizzate dall’uso del piccolo formato, risentono degli influssi di De Nittis, Rossano e De Gregorio, che animarono la scuola di Resina, da cui deriva una fine ricerca tonale e un rigoroso impianto compositivo. Nel 1886-1887 condivide una stanza in affitto, in via Foria, con il pittore Giuseppe Casciaro con cui dipinge spesso sia sulle colline del Vomero che durante escursioni a Capri e Ischia. In questo periodo stringe amicizia con lo scrittore e giornalista Gaetano Miranda e cura le illustrazioni del suo libro Napoli che muore, pubblicato da Pietrocola nel 1889. Accompagna l’amico nei vicoli e nei sobborghi malfamati della città: sono di questo periodo le opere che ritraggono la Napoli ormai deturpata dalle speculazioni edilizie, anche se ricca di colore e sfumature: “ Là, in quei budelli, si azzardava ad aprire la cassetta dei colori e con pochi tratti e poche pennellate sintetiche dipingeva un angolo o la facciata di un palazzetto (…)” (Schettini 1954, p. 38). Nel 1887 sposa Annunziata Belmonte da cui avrà cinque figli: Fausto (1888), Ugo (1890), Paolo (1892), Eva (1897) e Ada (1901). Seguiranno le orme paterne Fausto, Paolo e Ada. La moglie diventa anche il suo mercante, perché propone le opere del marito a commercianti e privati in un momento in cui, dopo aver interrotto la collaborazione con la fabbrica Cacciapuoti, la famiglia si trova nuovamente in difficoltà. Nel 1888 nasce Fausto e la famiglia si trasferisce al Vomero. Negli anni a cavallo fra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 Pratella dipinge opere che diventano dei veri e propri documenti di vita napoletana: scorci di via Tasso e via Foria, i giardini della Villa Comunale e il molo di Santa Lucia, le lavandaie e i pescatori di Mergellina. In seguito alla nascita di Ada, l’artista si concentra sul lavoro e sulla famiglia, proprio mentre i suoi colleghi sono attirati dalla scena internazionale. Nel 1902 è nominato professore onorario dell’Accademia di Napoli e negli anni ’20 i Pratella si trasferiscono in Piazzetta Aniello Falcone, sempre al Vomero. Negli ultimi quarant’anni di attività Attilio Pratella continua con la produzione di paesaggi, marine e scene popolari napoletane di provato successo commerciale. Contemporaneamente, però, dirige le sue ricerche paesaggistiche verso un’espressione più sintetica, in cui il rigore tonale, attraverso il sapiente uso di verdi, grigi perlacei e azzurri, si traduce in effetti argentei di grande luminosità, in linea con le istanze del Novecento. Nell’esplorazione di questi nuovi motivi l’artista si avvale, spesso, di finissimi disegni eseguiti dal vero, in cui riaffiorano reminiscenze dei taccuini di De Nittis e dei carboncini di Fontanesi. Attilio Pratella muore a Napoli nel 1949. |